Come
scritto nel post precedente dopo aver salito Nuvolau ed Averau mi sposto verso
il Monte Civetta, che ho intenzione di salire per la via normale da Pecol.
Trovo un posto discreto dove dormire in macchina proprio nel parcheggio dove c’è
il divieto di accesso alla stradella forestale da cui si accede al sentiero 587 che dovrò seguire la mattina successiva per arrivare all'attacco della via normale.
Una bella casa in legno a Pecol, vicino al parcheggio in cui ho dormito
La notte è fresca,
stellata, e preannuncia una bellissima giornata. Metto la sveglia per le 5.00, voglio
partire presto perché la salita è molto lunga, con 1800 m di dislivello in
salita ed altrettanti in discesa, e poi perché nel pomeriggio potrebbero
esserci dei temporali. Inoltre mi devo spostare verso il gruppo del Monte
Rosa. Dopo una frugale colazione mi avvio per la stradella forestale in leggera
salita e poi sul più ripido sentiero che conduce al Col Grant dove si incrocia
il sentiero Tivan.
Le cime secondarie del Civetta nell'ombra mattutina
Si sale dapprima in un bellissimo bosco di abeti rossi e
larici, quindi in una macchia di pini mughi, spesso curvi e a volte spezzati da
frane e valanghe.
Fra luci ed ombre
Piena luce sul Civetta
Dopo il Col Grant il sentiero, ormai fuori dal bosco, comincia
a divenire più sassoso e faticoso, ma lo spettacolo sulle cime secondarie del
Civetta e sul retrostante Pelmo è maestoso; quest’ultimo merita veramente l’appellativo
di “Caregon del Padreterno”. Per tutti il tratto non ho incontrato nessuno; partire presto è stata una buona idea.
Nella zona a destra delle pareti giallastre al centro corre la via normale
Continuo a salire verso i ghiaioni che precedono l'inizio della parte attrezzata e volgo spesso lo sguardo verso la parete a studiare l'itinerario, pensando che certamente la via percorre una zona centrale della parete chi mi sembra appoggiata e niente affatto verticale.
Il sole intanto comincia a salire ed a riscaldare parecchio; bevo spesso, ma poco, il camel bag è un'ottima trovata. quando arrivo vicino alle pareti vedo due persone che stanno per attraversare il piccolo nevaio che precede l'inizio della via normale, mi precedono di venti minuti circa, mentre in basso vedo un altro escursionista che mi segue a passo veramente rapido e che in breve mi raggiunge e sorpassa, veramente in gamba. La salita lungo il ghiaione alla base delle pareti è dura, spesso si scivola per l'instabilità della pietraia.
Bella fioritura nel ghiaione
Intanto arrivo pure io al nevaio, che attraverso facilmente anche senza ramponi e mi porto alla base della parete in cui inizia la via normale.
Verso l'attacco
La prima difficoltà è rappresentata dal vuoto da disgelo presente fra il nevaio e la base della parete, con una prua niente affatto sicura di neve dura che si protende verso le rocce, ma che non è proprio il caso di approcciare, pena un quasi sicuro volo nel vuoto di qualche metro.
L'attacco della via normale con la prua di neve staccata
Decidiamo insieme all'escursionista che mi precedeva e che adesso ho raggiunto, di andare su roccia un poco più in basso, dove il distacco neve-roccia è minore e si arriva sulla parete di roccia con un saltino di pochi decimetri. effettuato il salto con circospezione indosso l'imbrago e posiziono il kit da ferrata; lunghi tratti della via normale sono infatti attrezzati con cavo metallico e si tratta di una ferrata vera e propria, anche se inframmezzata da tratti non attrezzati, talora non proprio banalissimi. Il primo tratto attrezzato è dato da una successione di placche inclinate, molto estetiche e talora discretamente esposte; l'ambiente è severo e affascinante, la salita entusiasmante.
Prima parte del tratto attrezzato subito dopo il nevaio
Dopo il primo tratto attrezzato segue un'ampia zona detritica con tracce di sentiero che a volte si intersecano e che a volte si perdono. Dopo tale facile zona si presenta un'altra zona caratterizzata da tratti attrezzati su cenge inclinate (fra cui il famoso Passo del Tenente) e pacche molto ripide, cui segue nuovamente una zona detritica.
Placche ripide del secondo tratto
Mi faccio qualche foto mentre salgo sulle placche ripide
Si arriva quindi ad un'altra area con tratti ripidi, alcuni quasi verticali, dove incontro qualche comitiva in discesa dal rifugio Torrani. La salita segue fra un alternarsi divertente di tratti attrezzati con cavo metallico ad altri solo segnati dai bolli rossi, che spesso comunque non è facile seguire. Spesso mi ritrovo nei tratti attrezzati con l'escursionista incontrato all'attacco, con il quale ogni tanto scambio qualche impressione.
Il Pelmo con Pecol ai suoi piedi; io vengo da lì
Nei pressi del Torrani verso il Van delle Sasse, la cima delle Sasse ed in fondo la Moiazza
Ora comincio ad essere abbastanza in quota, lo vedo dal dirimpettaio Pelmo, e dopo aver zigzagato ancora per pendii ripidi e zone detritiche arrivo finalmente in vista del rifugio Torrani, circa 250 m al di sotto della vetta. Da qui la vista verso il gruppo della Moiazza è veramente affascinante. Ai tavoli del rifugio una coppia che mi pare della Repubblica Ceca è seduta ad un tavolo intenta a mangiare un boccone. da qui invetta il percorso è quasi tutto non attrezzato, ma molto pericoloso per il rischio di scivolate sulle rocce ripide, spesso ricoperte di detrito molto instabile. Passo vicino ad un vecchio pilastrino geodetico e dopo le ultime fatiche sono finalmente in vetta al monte Civetta. In cima mi attende un corvo, molto fieronella sua posa, che si lascia fotografare e successivamente verrà a mangiare qualche pezzo di crackers.
La croce di vetta
Il corvo
Il corvo domina sul Van delle Sasse
In vetta
Con la sedia invisibile
Verso la Cima De Gasperi e la Cima Su Alto
Agordo ed il suo lago; di fronte la frana che ha generato il lago
La vista da quassù è vertiginosa, a un passo si apre il terrificante baratro della parete nord-ovest, alta 1200 m, su cui sono state scritte pagine indimenticabili della storia dell'alpinismo e su cui la via "più facile" è la prima via di VI grado, aperta da Solleder e Lettenbauer nel 1925.
L'impressionante muraglia della parete nord-ovest vista dalla zona di Agordo
Oggi è il 6 agosto e appena me ne rendo conto mentre apro la scatola metallica con il libro di vetta, mi viene naturale dedicare la salita alle vittime della bomba di Hiroshima. Poco dopo di me arrivano in cima anche i cechi (presunti) che avevo incrociato al Torrani. Io intanto faccio qualche foto alla meraviglia che ho intorno nonchè il classico autoscatto in cima, ma stavolta insieme al corvo. Mi sento veramente soddisfatto. Dalla partenza a Pecol fino alla cima ho impiegato cinque ore e mezza, un tempo discreto, ma fatto in assoluta calma e godendomi tutti i momenti della salita. Da qui è particolarmente impressionante da vista su Agordo ed il suo lago di sbarramento; la frana che lo ha generato si individua benissimo, la vedrebbe pure un cieco, non ci vuole certo l'occhio del geologo. Certo è che se anche una frana di minore entità della precedente si abbattesse nella stessa zona di certo buona parte di Agordo sarebbe spazzata via.
Frana ben visibile a tutti
Mangio qualcosa in cima e dopo un poco arriva un gruppo di ferratisti saliti dalla ferrata degli Alleghesi, sembrano tutti in gamba. Un ultimo sguardo al superbo panorama e mi avvio per la discesa, preceduto di poco dai cechi. Il tratto fino al Torrani in discesa è abbastanza infido e faccio molta attenzione, non vorrei beccarmi una scivolata, soprattutto nelle zona in cui il sentiero passa vicino al ciglio di un simpatico burrone. I tratti in discesa li affronto con tranquillità, non c'è nessuno, si scende rapidamente, anche se in qualche tratto bisogna stare attenti a seguire il percorso migliore e si rischia spesso di andare fuori tracciato. nella parte bassa. Infine arrivo all'attacco della via, tolgo l'imbrago e effettuo a ritroso il salto sul nevaio. Mi attende ora la lunga discesa sulla pietraia e poi nel tratto boscato; nella pietraia ad un certo punto scelgo, per evitare un tratto che mi sembra troppo instabile, di passare su un grosso blocco liscio con un poco di ghiaietto sopra: scelta veramente infausta, scivolo immediatamente e prendo un bel volo con sedere a terra e testa all'indietro, fortunatamente sono riuscito a mettere la mano destra a terra e il polso ha tenuto. Non mi sono fatto nulla, ma il volo è stato spettacolare. La discesa mi pare veramente interminabile, anche se sto scendendo abbastanza rapidamente, ma verso la fine della discesa finisco l'acqua che avevo portato, circa 2,5 l, e accelero ancora. In tre ore e mezza dalla cima finisco la discesa ed arrivo alla macchina, dove finalmente bevo abbondantemente. Mi cambio completamente, faccio il pieno di acqua alla fontana pubblica in thermos e bottiglie varie e lascio la stupenda area dolomitica per dirigermi verso l'ultima tappa di queste ferie agostane, il gruppo del Monte Rosa, su cui relazionerò nel prossimo post.
Ecco il tracciato approssimativo della via normale visto dal basso.