domenica 28 ottobre 2012

Alla scoperta delle Apuane - Il Pizzo d'Uccello

Ancora una volta le mie escursione traggono origine dalle vicissitudini lavorative: mi trovo di nuovo per un paio di giorni sulla riviera ligure, le previsioni del tempo sono ottime, con alta pressione stabile e temperature miti. Impossibile resistere alla tentazione di fare un giro in montagna. La scelta cade molto semplicemente sulle Alpi Apuane, che non conosco affatto, e dopo un giro di documentazione decido di puntare ad una delle cime più alpinisticamente significative, il Pizzo d'Uccello, la cui parete nord è un vero classico dell'alta difficoltà. Naturalmente io opto per la facile via normale e per l'accesso tramite un costone attrezzato a via ferrata. La sveglia è per le 4.30, ma io mi alzo qualche minuto prima, braccato dalle zanzare. Esco dall'albergo a Sestri Levante alle 5.00 e prendo l'autostrada alla volta di Aulla, importante centro della Lunigiana, e mi dirigo quindi alla volta del paesino montano di Ugliancaldo, a quota 750 m, in una zona servita solo da stradine strettissime e tortuose; perdippiù è ancora totalmente buio e sono quindi costretto ad andare pianissimo. Arrivo ad Ugliancaldo poco dopo le 6.30 e mi avvio verso la strada sterrata che conduce alle Cave Cantonaccio ed all'attacco della ferrata. All'inizio della stradina però c'è un minaccioso divieto d'accesso e la scritta strada privata. Decido allora di lasciare la macchina all'imbocco e proseguire a piedi, anche se questa evenienza mi farà perdere parecchio tempo, e vedere se riesco a passare più o meno inosservato a piedi. Mi avvio al buio, ma dopo un pò, vista la presenza di un cagnaccio di guardia che abbaia dove devo passare, nonchè la presenza di cacciatori in zona, decido di mettere la lampada frontale, ed in effetti il cane ne è piuttosto intimorito e si tiene a distanza. Arrivo nei pressi della sbarra che chiude l'area di cava e mirendo conto che i lavori fervono, e che un cartello piuttosto vistoso afferma che l'area è interdetta ai pedoni, nonchè a rischio esplosioni da mina. Purtroppo siamo di giovedì e la cava è in piena attività; anche su internet in effetti sconsigliavano tale itinerario in giorni feriali....., devo cambiare il programma. Imbocco allora il vicino sentiero 192, che avrei dovuto percorrere solo in discesa,  e comincio a salire piuttosto ripidamente lungo il sentiero, a volte poco marcato e ricco di piccole diramazioni. Segue una di queste diramazioni attirato dal paesaggio che si intravede oltre un costone su cui sbuco: appare in tutta la sua eleganza e severità la parete nord del Pizzo, 600 m verticali perennemente in ombra, con belle stratificazioni e fratture.
L'imponente bastionata nord
 Adesso salgo dritto per il costone, ormai fuori dal sentiero, in una zona che mi pare pochissimo battuta. Ad un tratto vedo qualcosa di giallastro poco più in alto e mi avvicino incuriosito; possibile che sia proprio lui?, ormai mi sembra stagione parecchio inoltrata..., ma in effetti è proprio lui, uno splendido porcino!.
Ecco i porcini, destinati ovviamente alle tagliatelle fatte a mano.
 
Nelle vicinanze ne trovo altri due insieme a degli Hidnum repandum (steccherino dorato), e qualche amanita, fra cui un bell'esemplare di Amanita phalloides.
Occhio alla signorina con la sottana, è la mortale Amanita phalloides
 
Risistemo lo zaino in maniera tale da poter sistemare i porcini, che non ho nessuna intenzione di lasciare, e riparto. Arrivo infine ai prativi delle pendici settentrionali di Poggio Baldozzana, che, in piena ombra, sono ricoperti da uno spesso strato di brina, mentre io stò salendo in maniche corte. Ritrovo la traccia del sentiero che percorre la cresta del Poggio, che una volta fuori dal bosco diventa molto aerea ed affilata, vietata a chi soffre di vertigini. Dalla cima del Poggio la vista è veramente bellissima: oltre al bellissimo Pizzo d'Uccello lo sguardo spazia verso dalla Lunigiana, ancora in parte avvolta nelle nebbie mattutine, a tutto l'Appennino emiliano e ligure, mentre ad est e sud troneggiano le altre vette delle Apuane, fra cui il Monte Pisanino.
La bassa Lunigiana avvolta nelle nebbie mattutine
 
Eccomi sulla prima parte di Poggio Baldozzana con alle spalle il Pizzo d'Uccello
 Solo le cave di marmo vicino al rifugio Donegani alterano lo spettacolo idilliaco.
Verso est, pizzo Maggiore e Pizzo Altare con le cave di marmo a deturpare
 Dalla cima inoltre sento arrivare delle voci, ed in lontananza vedo dei ragazzi vicino Foce Siggioli, il varco nella cresta dove convergono alcuni sentieri e la ferrata proveniente dalla cava.
L'affilata cresta di Poggio baldozzana, con lo sperone percorso dalla ferrata in basso al centro e Foce Siggioli immediatamente a destra. Al centro Ugliancaldo, la località di partenza
Dopo qualche minuto li raggiungo: sono due ragazzi partiti dal rifugio Donegani e intenzionati a fare il mio stesso percorso. Stanno a crogilarsi al sole per asciugare le magliette bagnate di sudore. Dopo due chiacchiere riparto augurando lo una buona salita. Il pendio ora diventa una cresta a tratti molto affilata ed aluni passaggi sono un poco esposti. La roccia è cosparsa di ciuffi erbosi e di detriti, e risulta piuttosto infida, mentre il percorso è ben segnato con rettangolini di vernice arancione, che risalgono tutta la Cresta di Capradossa, molto spettacolare e a tratti esposta; in lontananza vedo i due ragazzi, che salgono decisamente molto piano.
La cresta di Capradossa
Il percorso continua in leggera ascesa fino ad incrociare, su una piccola dorsale, la via normale al Pizzo d'Uccello, segnata con i marca-via del CAI rettangolari bianchi e rossi. Ora il sentiero è tutto su roccia, ripida a tratti, con alcuni facili passaggi alpinistici gradati I+ o II-, molto divertenti, che fanno guadagnare rapidamente quota. 
 

Qualche facile e divertente passaggio in roccia
Ora fa decisamente caldo e la prima borraccia è quasi finita. Si arriva ad un'anticima, che tramite una piccola forcella un pò esposta da percorrere con attenzione, conduce alle ultime facili rampe ed alla cima, quotata 1781 m, dove arrivo alle 10.45. Il paesaggio spazia ora a 360°, molto bello, completamente sgombro di nubi e sufficientemente limpido da intravedere il golfo della Spezia, la catena appenninica, le Apuane e qualche tratto di costa tirrenica.
L'Appennino verso nord-est con il lago di Gramolazzo
Persa nella foschia la Spezia con la sua rada


Autoscatti in vetta
Le vallate apuane sono dotate di notevole grazia, ed i borghi appaiono sereni ed architettonicamente integri, decisamente molto belli. Mi tolgo lo zaino e la maglietta, abbastanza zuppa, non tira un filo di vento ed anche in cima si stà da dio anche a petto nudo. Mi rifocillo con una barretta energetica, mi godo in pace il panorama e poi scatto qualche foto; la sensazione di pace interiore è totale. Dopo un quarto d'ora di panciolle mi rimetto in marcia per il ritorno e dopo essere sceso 20 minuti finalmente incrocio i ragazzi che stanno ancora salendo. Ci scambiamo un rapido saluto. Il sentiero del ritorno lo faccio con discreta velocità e notevole sicurezza; passaggi che all'andata mi erano sembrati esposti e pericolosi ora li faccio con sicurezza e rapidità: ci si abitua velocemente alla sensazione del vuoto e della ripidezza dei versanti.
Scendendo verso Foce Siggioli
 Una volta percorsa l'aerea cresta del Baldozzana e data un'ultima occhiata alla parete nord del pizzo, comincio quasi letteralmente a correre in discesa visto che il sentiero è ora molto comodo e ben segnalato.
Un ultimo sguardo alla magnetica parete
 Ad un incrocio leggo nella tabella che a 200 m ci sarebbe stato un bivio: a sinistra per il sentiero 192 (quello di salita, che porta alla sbarra della cava), mentre verso destra per Ugliancaldo. Non avevo preso in considerazione questo bivio ed ho un'attimo di indecisione se tornare per il conosciuto sentiero dell'andata, che però arriva sulla tediosa strada della cava, oppure fare un sentiero sconosciuto che però dovrebbe portarmi vicino alla macchina.
Il pittoresco Ugliancaldo
Naturalmente scelgo il sentiero sconosciuto, che almeno inizialmente sembra discreto. Scendendo a tratti diventa incerto in alcune zone, ma pare molto buono ed è decisamente più bello del tratto che avevo percorso la mattina.
Ameno tratto di sentiero lungo la discesa
 Quando entro nel bosco, bellissimo e ricco delle sfumature coloristiche autunnali, lo trovo stracolmo di Clitocybe nebularis (ordinati dalle nostre parti).
Clitocybe nebularis
 

Il bosco si prepara ai freddi in arrivo
La parte bassa del sentiero è pieno di detriti, ma comunque bello, e dopo una discesa spedita, spesso affidato alle frenate con i bastoncini, arrivo alla strada asfaltata cinque minuti a monte di Ugliancaldo, dove arrivo alle 13:25; la scelta del sentiero alternativo si è rivelata azzeccata. Riprendo la macchina e sistemo i porcini, faccio scorta d'acqua alla vicina fontana e mi dirigo verso l'autostrada, dove arrivo un'ora dopo. Il viaggio di ritorno in autostrada da solo, senza stereo od area condizionata e con i mille cigolii della panda è un vero strazio e cerco di abbreviarlo più possibile evitando le fermate non necessarie. Alle 23.30 arrivo infine a casa. Devo dire che le Apuane mi sono piaciute molto e penso di ritornarvi non appena ne avrò l'occasione, comunque il giorno dopo mi godo delle fantastiche tagliatelle fatte in casa con i porcini apuani!

venerdì 14 settembre 2012

Si va in quota - Per la prima volta oltre i 4000 m

Sono diversi mesi che non vado in montagna, dalla fine di giugno, e verso l'inizio di settembre il lavoro mi porta sulla riviera ligure. Naturalmente penso di organizzarmi per fare un blitz sulle Alpi. Decido che, finito il lavoro il venerdì, potrei fare un salto in montagna sabato e poi rientrare direttamente a casa per passare la domenica con Pablo e fare qualche lavoretto.
Il programma è ormai delineato: la meta deve essere per forza di cose essere scelta fra quelle più facilmente raggiungibili, ovvero con un impianto di risalita che arrivi ad alta quota per consentirmi una salita con un dislivello non eccessivo e che tecnicamente sia altrettanto facile. La scelta cade sul monte Breithorn, nel gruppo del monte Rosa, caratterizzato da una lunga cresta con tre vette principali, di cui due facili tecnicamente e abbastanza vicine agli impianti di risalita che da Cervinia arrivano al comprensorio sciistico del Plateau Rosa. La sveglia è per le 03.00 di notte dato che parto dalla zona di Sestri Levante e devo fare quasi 300 km per arrivare a Cervinia ad orario accettabile per l’apertura della funivia. La sveglia è abbastanza dura, ma nel giro di pochi minuti riesco a prepararmi ed alle tre e mezza sono già in autostrada, così alle 7 circa riesco ad arrivare a Cervinia, dove trovo un parcheggio gratuito e finisco di sistemare attrezzatura e vestiario. Intanto già dal parcheggio il Cervino appare splendido, inondato dalla rosata luce mattutina.
Il Cervino illuminato dal sole nascente
Faccio il biglietto di andata e ritorno per il Plateau Rosa (29 €) e mi avvio agli impianti, dove scopro la forma di vita più aggressiva che esista sul pianeta: i ragazzini delle scuole sci, che sono qui a frotte, disposti a gettarti in un altoforno pur di passarti avanti per l’ingresso; ti spintonano, ti sbatacchiano e ti danno gli sci in testa. Veramente tremendi, passate pure…. Dopo i tre tronconi della funivia sono infine al Plateau Rosa, a poco meno di 3500 m di quota. La giornata è veramente magnifica, ed in lontananza si vedono chiaramente a sud il Gran Paradiso e la Grivola, mentre ad ovest spiccano il Gran Combin ed il Monte Bianco, ma è il Cervino in tutto il suo splendore ad attirare magneticamente lo sguardo.
Il Cervino Sullo sfondo del Plateau Rosa
Gran Paradiso e Grivola
 
A nord del Cervino si delinea la splendida dorsale della Corona Imperiale con diverse cime oltre i 4000, fra cui spiccano il bellezza il Weisshorn e lo Zinalrhothorn.
Cervino con Dent d'Herens a sinistra e Corona Imperiale a destra
Dettaglio della Corona Imperiale: da sinistra, Ober Gabelhorn, Zinalrhothorn e Weisshorn
Gli sciatori si immettono immediatamente nelle piste, mentre gli alpinisti (o presunti tali come me), si preparano sgranocchiando qualche barretta, indossando imbragatura, ramponi, e preparando la cordata. Parto verso le 08.30, e la prima parte è di certo la più pericolosa: bisogna infatti arrivare alla pista di sci e poi attraversarla, cercando di evitare gli skilift e gli sciatori, calcolando adeguatamente i tempi di attraversamento. Spesso gli sciatori passano mooolto vicini…Terminato l’attraversamento delle piste ci si dirige verso il Plateau del Breithorn ed il relativo passo, affrontando pendenze moderate e quasi sempre, tranne l’ultimo tratto, sulle piste battute dai mezzi provenienti dal Plateau Rosa e dalla stazione di arrivo dalla Svizzera del Klein Matterhorn (Piccolo Cervino).
Sulla destra la stazione di arrivo al Klein Matterhorn, sullo sfondo il Monte Bianco ed il Gran Combin a destra
 
Dal plateau del Breithorn, dove quasi tutti si fermano per assestare la cordata e spogliarsi, si vede molto chiaramente quasi tutto l’itinerario da percorrere, che non sembra niente affatto difficile, ma in compenso ci sono veramente tantissime persone.
Breithorn occidentale e centrale
Si tratta principalmente di cordate piuttosto numerose, addirittura fino ad 8, condotte dalle guide, seguono come numero le cordate di 2-3 amici, e poi qualche solitario come me.
Folla di cordate in salita
La maggior parte parla tedesco, seguono l’italiano e il francese. Dal colle del Breithorn la vista abbraccia anche le vette verso est dei Lyskamm, del Castore e del Polluce.
Breithorn Pass con i Lyskamm sullo sfondo
 
Sono a circa 3800 m di quota, e la fatica comincia a farsi sentire, oltre al caldo; mi fermo piuttosto spesso a rifiatare per evitare sforzi che potrei pagare più tardi e mi godo la splendida vista. Ogni tanto mi sposto dalla traccia principale, che procede con qualche zig-zag lungo il versante del Breithorn occidentale, per far passare qualche cordata più veloce o per passarne qualcuna più lenta. Finalmente guadagno la cresta e l'orizzonte si allarga a dismisura, con ad est la parte centrale del Gruppo del Monte Rosa e la bella cresta del Mischabel che prosegue verso nord.
Dalla cresta verso ovest: l'alta valle di Zermatt con Cervino, Dent d'Herens e Dent Blanche a destra
Zermatt e la sua Valle, con sullo sfondo le cime dell'Oberland Bernese
 
Ormai sono a poche decine di metri e mi rendo conto, come immaginato, che in cima c'è un bel pò di gente;
Folla sulla cima occidentale
pazienza, non era certo oggi il giorno dell'avventura selvaggia e solitaria.... in cima mi fermo poco, 2-3 minuti, il tempo di fare delle foto, ammirare la bellezza dei dintorni, riconoscere le varie cime e mangiare una barretta. 
La dorsale del Mischabel a nord del Monte Rosa
A fare la salita ho impiegato circa 3 ore per 700 m di dislivello circa: una vera lumaca!; comunque sono molto soddisfatto, non avevo affatto intenzione di correre nè di forzare il ritmo, è la mia prima volta oltre i 4000 m, la cima del Breithorn occidentale è infatti a 4165 m.
Finalmente in vetta con vista verso occidente
Dalla cima verso est: la parte centrale del Monte Rosa con le Punte Nordend, Dufour, Zumstein e Gnifetti da sinistra a destra; ancora più a destra i Lyskamm
 
Mi avvio verso la vetta centrale, che verso est appare veramente bellissima e eccitante, con delle cornici davvero spaventose sul versante svizzero. 
Vetta centrale e Lyskamm sullo sfondo
La cresta che separa le due vette è a tratti veramente aerea e stretta, non più di mezzo metro con versanti di 300-400 a nord e sud, un passaggio veramente mozzafiato!.
Cresta fra i due Breithorn
Adesso comunque la fatica si comincia veramente a sentire, mi fermo ogni 40-50 m approfittandone per fare foto, fra cui quelle dello spettacolare passaggio a destra delle cornici aggettanti. Dopo pochi minuti sono comunque in vetta anche al Breithorn centrale e qui mi fermo 3-4 minuti, estasiato dal paesaggio e semi-distrutto dalla fatica e dallo scarso acclimatamento.
Vetta occidentale vista dalla centrale, con il Cervino sullo sfondo
La cordata che mi precede nella zona più insidiosa delle cornici
Passo anch'io vicino le simpatiche cornici
In vetta al Breithorn centrale
 
L'insufficiente permanenza in quota e la troppo rapida salita dal livello del mare dove ho soggiornato gli ultimi giorni si fanno quindi sentire e comincio a sentire molto chiaramente i sintomi del mal di montagna, dapprima un accenno di mal di testa, in rapido aumento, e poi una netta nausea e la barretta appena mangiata che si fa sentire sullo stomaco..... L'unica maniera per alleviare i sintomi, visto che ho avuto la dabbenaggine di dimenticare, oltre al cappello ed alla protezione solare, anche gli antidolorifici, è scendere e perdere quota prima possibile. Inizio quindi il ritorno, dapprima dietro ad una coppia di lentissimi francesi, e poi, superatili, da solo. In discesa evito la risalita alla vetta occidentale e taglio direttamente dal colle che separa le vette verso il sottostante Plateau. Anche in discesa mi devo fermare spesso, la nausea ed il caldo mi opprimono; mi spoglio più che posso e rimango solo con la maglia intima, ma anche quella risulta troppo calda, così come pure i pantaloni, la prossima volta con questo clima devo partire molto più leggero. Con la discesa il mal di testa comincia a diminuire, ma la nausea è sempre forte ed il calore che sento addosso mi fa fare un gesto che apprezzerò molto: prendo la neve ghiacciata e mi bagno la testa e la nuca; l'idea si fa subito apprezzare, ho un notevole sollievo. La discesa comunque, vista la fatica ed il mio incedere non proprio elegante, sembra più una fuga. Saltuariamente continuo a bagnarmi con la neve e a bere spesso per non disidratarmi. Maledico il non aver comprato un cappello adatto per la modica somma di 12 €. Comunque, malgrado le difficoltà soggettive, riesco a raggiungere il Rifugio Guide del Cervino, dove mi siedo a rifiatare sulle prime rocce in grado di accogliere il mio fondoschiena. Ormai sono arrivato alla stazione della funivia, ma sono veramente distrutto, mi sento stanco, ma soprattutto la nausea non mi ha ancora abbandonato. Mi tolgo i ramponi, l'imbragatura ed infilo tutto nello zaino, avendo cura di raccattare dalle tasche (oddio, quale cavolo di tasca è?), il biglietto della funivia. Anche la mandria di sciatori si dirige ormai agli impianti: fra mezz'ora circa c'è l'ultima corsa di discesa. Si vedono scene veramente ridicole: signori di mezza età con i mocassini, tutti barcollanti, ed una signora, evidentemente non avvezza alla frequentazione di ghiacciai, girare in infradito, ovviamente riuscendo a fare si e no 4 metri fuori dalla stazione!, mah!. Anche in discesa la nausea si fa sentire, in particolare quando le cabine oscillano passando da un pilone all'altro; alle stazioni intermedie mi devo fermare ed uscire a respirare aria fresca, solo una volta ritornato a Cervinia, ormai a soli 2000 m, la nausea si allevia, e dopo un pò, sparisce anche quella, rimane solo un senso vago di stanchezza. La scalata, e la relativa discesa, sono ormai alle mie spalle, insieme alla profonda soddisfazione di essere riuscito in ciò che mi ero prefisso. La giornata però non è certo finita: devo rientrare a casa. Dopo essermi alzato alle 03.00 da Sestri Levante, aver fatto quasi 300 km in macchina, aver compiuto la scalata ai due Breithorn fin oltre i 4100 m e relativa discesa, faccio altri 1300 km filati fino a casa, dove arrivo alle 05.20 della mattina seguente. Dopo un sonno ristoratore, di ben 3 ore,  sono di nuovo in piedi per i lavori domenicali!

martedì 3 luglio 2012

Cronaca di una sconfitta

Questo post rende conto della prima cocente sconfitta escursionistico/sportiva della mia "carriera", anche se i toni del fiasco cui sono andato incontro non mi hanno certo demoralizzato, ma mi hanno comunque arricchito di una nuova esperienza in un'ambiente, quello dell'alta quota, a me sconosciuto. L'obiettivo dichiarato dell'escursione era certo molto ambizioso, ma tecnicamente certo alla mia portata: una delle "vie normali" al Monte Bianco, la cosiddetta via Trois Monts. Mesi di preparativi, visione quotidiana webcam sul Bianco, documentazione, ecc..., e finalmente si parte venerdì 29 giugno, purtroppo con un'anticiclone (Caronte), piuttosto marcato, con zero termico a 4200 m. Come previsto parto da solo visto che nessuno vuole venire con me. Conto di arrivare la mattina presto di sabato a La Palud, da dove parte la funivia per il Rifugio Torino, vera anticamera della zona che contorna il ghiacciaio del Gigante, che conflisce nel maggiore ghiacciaio del Bianco, la Mer de Glace. Dormo in macchina dalle parti di Aosta e la mattina alle 5.45 sono a La Palud. Nel parcheggio ci sono già diversi alpinisti che si stanno preparando a salire con la prima corsa; faccio il biglietto andata e ritorno per il Torino (34 €), mi vesto anch'io e dopo un pò si parte, stipati come acciughe nella cabina; all'ingresso della cabinovia un foglio di previsioni del Servizio Meteo Francese recita per l'area di Chamonix: vento debole, da moderato a forte in quota, in aumento, zero termico da 5600 a 6000 m!. Noto che solo io ho lo zaino ingombrante e pesante (19 kg) di chi porta con sè sacco a pelo e tenda; tutti fanno uscite di giornata o si appoggeranno ai rifugi. Dalla partenza della funivia al rifugio Torino ci sono circa 2000 m di dislivello, con arrivo a poco più di 3300 m, quindi all'arrivo faccio attenzione a muovermi tranquillamente e senza sforzi eccessivi per ovviare agli scompensi dello sbalzo di quota. Esco dalla stazione di arrivo e dopo pochi minuti sono al Colle del Gigante, dove mi preparo indossando i ramponi e l'imbragatura, e mi avvio verso l'alto; il primo passaggio obbligato è il colle che dà accesso al ghiacciaio, il Col Flambeau, a circa 3400 m.
Al colle del Gigante; sullo sfondo il Dente del Gigante
La giornata è magnifica e la vista è stupenda, arrivato al colle ammiro ciò che mi circonda. Molte delle montagne più famose della storia dell'alpinismo sono intorno a me: Dente del Gigante, Aiguille Verte, Dru, sulla destra, di fronte le Aiguilles du Midi in lontananza, a sinistra il Monte Maudit,il Mont Blanc du Tacul ed i satelliti del Tacul fra cui il mitico Grand Capucin e poi dopo qualche passo uno splendido scorcio sulla parete nord della Tour Ronde.
Mont Maudit e Mont Blanc du Tacul con i suoi satelliti
Sguardo verso la Mer de Glace ed il gruppo dell'Aiguille du Plan
Splendida vista sulla parete nord della Tour Ronde
Il Tacul ed i suoi satelliti dietro ai seracchi del ghiacciaio del Gigante
La pista scavalca il colle e si dirige in discesa verso sinistra accostandosi alla base del Roi du Siam e della Pyramide di Tacul, superando diversi crepacci sinistri e profondi. Il cielo sereno della notte ha garantito un buon rigelo portante e la neve ghiacciata scrocchia.
Il dente del Gigante in controluce
La pista scende fino a circa 3200 m e poi risale fino al colle del Gros Rognon, che dà accesso all'amplissimo pianoro del Col du Midi, dove ho intenzione di piantare la tenda. Lungo il percorso il vento va via aumentando, fino ad essere piuttosto teso al pianoro, dove arrivo dopocirca 2 ore e mezza-3 ore di cammino piuttosto rilassato. Qui mi aspetto di trovare molte tende montate, ma con mia grande sorpresa non c'è nessuna tenda!, solo sotto l'Aiguille du Midi ci sono 3-4 tende di gente che sta scalando evidentemente la parete sovrastante.
Trovo un paio di piazzole pronte al col du Midi a circa 3500 m di quota, scavate nella neve per la protezione dal vento, ne scelgo una e comincio a montare il campo, operazione non semplice visto il vento teso.
La tenda piazzata; sullo sfondo a sinistra le Grandes Jorasses
Intanto vedo diverse cordate scendere (e stranamente alcune anche salire: è molto tardi!) dalla via che porta al Bianco lungo il versante che porta alla Spalla del Tacul. Riesco a montare la tenda in maniera tale da sembrare sufficientemente stabile al vento, e comunque rinforzo e rialzo il muretto di protezione di neve.
La tenda al cospetto dell'Aiguille du Midi
Infilo tutto nella tenda e intanto comincio a prepararmi il pranzo con il fornelletto, che va una meraviglia, un grande acquisto. Faccio due buste di cibo disidratato, ovvero 6 porzioni (per pigmei nani probabilmente), che mangio metà come pranzo e metà a cena.
Si prepara da mangiare
Il pomeriggio passa in parte cercando di dormicchiare, in parte uscendo periodicamente a controllare la stabilità della tenda, comunque fissata con dei chiodi da ghiaccio ed in parte facendo preparativi vari per l'indomani.
Il groviglio di roba all'interno della tenda
Poco prima di rinchiudermi in tenda seto un fragore ed un crepitare, cazzo!, dev'essere una valanga; mi precipito fuori della tenda e vedo la valanga adagiarsi sulla sinistra del Triangle du Tacul...., molto male, i versanti sono molto instabili, fa troppo caldo, speriamo in una nottata fredda.
Ecco la valanga appena caduta
Fisso la sveglia per l'una, prendo una pillola contro il lieve mal di testa derivante dal mal di montagna e cerco di dormire un poco, nonostante fuori il vento continui ad aumentare di intensità e talora la tenda venga scossa in maniera tale da venir strappata via da un momento all'altro. Rimango in dormiveglia e sbircio spesso il telefono. L'orario si avvicina ed il vento ulula sempre più....., decido di posticipare l'orario, non si può partire in piena notte con questo vento.....; passa altro tempo ed il vento non accenna affatto a diminuire: rimando ancora un pò, ma il tempo di non ritorno si avvicina. Improvvisamente, intorno alle 4 e mezza, oltre al vento, che ormai è una vera bufera, arriva una tempesta di neve!; spero che duri poco, ma il morale ormai è sotto i piedi, ogni tanto arriva lo schianto di un fulmine.
Ecco l'inattesa neve al mattino
Si tratta di decidere in fretta fra tentare una salita in condizioni oggettivamente pericolose, aspettare e rischiare un ripiegamento rischioso in mezzo a crepacci nascosti dalla neve caduta o riportata dal vento, oppure una veloce e dolorosa ritirata. L'ultima opzione mi sembra ovviamente la più saggia o forse l'unica degna di una persona sana di mente e vogliosa di ritornare vivo e vegeto a casa. Mi preparo alla ritirata facendo frettolosamente lo zaino. Stavolta la tenda deve per forza di cosa stare fuori dello zaino visto che è l'ultima cosa da smontare sotto la bufera di vento, comunque almeno ha smesso di nevicare ed ogni tanto si apre uno squarcio nelle nubi. Anche smontare la tenda con questo vento non è uno scherzo e ripiegarla per bene è impossibile; la infilo a casaccio nella sua custodia.
Sullo sfondo la via verso il Bianco, avvolta dalle nubi
Riparto e capisco di aver fatto bene, anche tutte le cordate partite dal versante francese stanno andando via, inoltre la neve è molto molle ed i crepacci mi sembrano più numerosi e più larghi. Rifaccio quindi a ritroso il cammino del giorno precedente, ma ad un certo punto noto una traccia che mi appare molto più diretta verso il Col Flambeau e la segue per un quarto d'ora, finchè non mi accorgo che muore all'interno di una seraccata invalicabile, qualcuno deve aver sbagliato strada ed io ho seguito le sue tracce, devo per forza tornare indietro e riprendere la traccia principale.
Lungo la pista errata
Seracco sospeso lungo il cammino
Superamento di un seracco
La risalita al colle nella neve molle è decisamente faticosa e la quota stavolta si fa sentire; il vento poi a tratti è veramente forte, e arrivato al colle le raffiche superano i 100 km orari.
La zona del Col Flambeau è battuta da un vento micidiale, che crea un vero e proprio blizzard, ovvero tutta l’area è spazzata a gran velocità dai granelli di neve gelata strappati dal vento alla superficie ghiacciata. Durante le folate più intense vengo più volte buttato di lato e mi reggo in piedi solo grazie al puntello dei bastoncini; spesso mi devo mettere spalle al vento per evitare le frustate del blizzard. Fortunatamente il Rifugio Torino è ormai molto vicino ed in pochi minuti di terreno in discesa vi arrivo. Nonostante sia domenica non c’è quasi nessuno; dopo pochi minuti parte la cabina per la discesa a valle ed in pochi minuti sono di nuovo a La Palud. La spedizione al Monte Bianco è stata certamente un fiasco, però ho certamente acquisito esperienza in alta montagna, che mi mancava del tutto, e stavolta in me ha prevalso un atteggiamento decisamente prudente, Ago il Saggio ho pensato, invece del solito Ago lo Sconsiderato. Dopo il viaggio di ritorno comunque verifico che il mio atteggiamento era stato corretto e lungimirante: le webcam piazzate all’arrivo in funivia ed al rifugio Cosmique hanno mostrato un tempo infame, con visibilità quasi nulla e nevicate nelle 18-36 ore immediatamente seguenti la mia partenza. Per il Monte Bianco l’appuntamento è solo rimandato (chissà a quando però….).